A volte basta il nome: Barbaresco. E l’etichetta, il blasone prendono il sopravvento, pare di bere un mito, e pare di dover per forza condividere pensieri più che positivi ed altisonanti.
A volte parla il vino. E lo fa con il suo verso gentile scolpito dagli anni, lo fa con il carattere che il vignaiolo ha forgiato in lui e lo fa con le particolarità delle varie annate. Perché una verticale é solo un modo per scendere piano piano gli scalini di una cantina buia che si illumina al nostro passaggio e che svela timidamente come fosse una giovane donna tutte le sue piccole smorfie fino a comporre un sorriso in mezzo al suo volto.
Sentir parlare di Dante Rivetti é come sentir parlare di un proprio parente saggio, lo mastichi quasi degustando i suoi vini. Nessuna concessione alla risoluzione facile e immediata. Bisogna masticare, sentire il sapore appoggiarsi leggero sulle pareti interne del palato, e sentire quel tannino svolgersi, dapprima tenace e croccante, via via più lucido e gentile, ma sempre straordinario protagonista della bilancia tesa sulle sensazioni più dure. Sentir i suoi vini appoggiarsi tenaci in fondo al palato e deglutire quel poco di amaricante trascinato da una sensazione quasi salina, é come alla fine di una splendida camminata in montagna sedersi e mirare il tramonto.