O stoccafisso (o stocco in alcune zone dell'Italia centrale e meridionale) è il merluzzo artico norvegese (Gadus morhua) conservato per essiccazione. La tecnica è tuttavia adatta anche per altre specie di pesce dalle carni bianche.
Il nome deriva probabilmente dalla cittadina norvegese di Stokke. Secondo alcuni però potrebbe derivare dal norvegese stokkfisk oppure dall'olandese antico stocvisch, ovvero "pesce a bastone", secondo altri dall'inglese stockfish, ovvero "pesce da stoccaggio" (scorta, approvvigionamento); altri ancora sostengono che pure il termine inglese sia mutuato dall'olandese antico, con lo stesso significato di "pesce bastone".
Da millenni, immensi banchi di merluzzi provenienti dalle gelide acque della zona popolata più a nord della terra, si dirigono verso mari più temperati per deporre le uova. Una parte di essi, seguendo la Corrente del Golfo, termina il viaggio di nozze nell'ambiente più adatto a riprodursi, lungo le coste del Vestfjord della Norvegia, in particolare nelle acque che circondano le isole Lofoten. Alle Lofoten c’è il miglior stoccafisso del mondo perché solo qui, sospinta dalla calda Gulf Stream, arriva lo “Skrei”, il merluzzo originario del Mare di Barents.
Simile al baccalà nell'aspetto, lo stoccafisso si differenzia dal primo, che viene invece conservato mediante salatura e ha un sapore completamente diverso. Nell'Italia settentrionale (in particolare nell'area della dominazione veneziana dove fu inizialmente introdotto) lo stoccafisso assume tuttavia il nome di bacalà, tanto che il rinomato baccalà alla vicentina è in effetti preparato con lo stoccafisso; nell'Italia meridionale viene invece chiamato stocco o pesce stocco (piscistoccu).
Origini
L'essiccazione naturale è uno dei metodi di conservazione del cibo più antichi. Vi sono documenti che attestano questa pratica nei Mari del Nord sin dai tempi di Carlo Magno (IX secolo). Il pesce secco ottenuto in questo modo può conservarsi anche per anni ed è facilmente trasportabile e commercializzabile. Fu proprio questa facile conservazione a bordo delle navi a farlo diventare il principale alimento dei Vichinghi. Le prime notizie sull'arrivo in Italia dello stoccafisso dicono che veniva usato come merce di scambio, importato dai paesi nordici nel 1561 a Genova, Venezia e Napoli.
I veneziani erano grandi navigatori e portavano in patria ogni novità: la più diffusa versione dei fatti sostiene che nel 1432 sulla scia delle scoperte geografiche, una cocca (700 tonnellate) della Serenissima, comandata dal capitano veneziano Pietro Querini, solcando i freddi e tempestosi mari del nord, naufragò a Røst (oggi ha 700 abitanti), un’isoletta delle Lofoten (Norvegia), che amò definire in modo alquanto pittoresco: “culo mundi”. Nei suoi otto mesi di sosta forzata oltre il Circolo Polare Artico, Querini ebbe modo di “esplorare” un mondo ricco di contrasti: fiabesco e nello stesso tempo difficile da penetrare, dalla natura affascinante, ma dura da domare; “le donne erano bionde et bellissime, più forti che furbe, erano libere et battagliere nell’attesa dei lohro homini che per mesi pescavano in mari lontani”. Poi vide qualcosa di curioso, che descrisse nel suo rapporto per l'ammiragliato della Repubblica di Venezia:
…I socfisi seccano al vento e al sole e perché sono di poca humidità grassa, diventano duri come legno. Quando li vogliono mangiare, li battono col roverso della mannara che li fa diventare sfilati come nervi, poi compongono butirro e spetie per dargli sapore, et è grande et inestimabile mercanzia per quel mare di Alemagna,,,
Per sopravvivere l'equipaggio superstite imparò a nutrirsi di questi grossi pesci e rientrando a casa il capitano portò gli stoccafissi, facendoli conoscere nel Triveneto da dove si diffusero nel resto d’Italia. Mai un naufragio fu tanto prodigo di novità… e nacque col tempo un fiorente commercio e l'inizio di una nuova cucina.
Curiosità storiche
Nulla è cambiato dall’epoca in cui approdò la cocca veneziana nelle isole Lofoten e, ancor oggi, l'esposizione del merluzzo all’aria aperta mantiene tutte le sue caratteristiche originali: dura circa tre mesi, variando con le condizioni atmosferiche del vento e delle dimensioni del merluzzo. L'essicamento all'aria del merluzzo artico fu concepito per la necessità che i Vichinghi avevano di trasportare sulle loro veloci imbarcazioni (drakkar), alimenti molto leggeri che potessero fornire il massimo delle energie per sfamare le ciurme addette ai remi (100 grammi di merluzzo fresco forniscono 68 calorie, mentre lo stesso peso essiccato ne fornisce 322). Leggerezza, facilità di trasporto e consumo senza la necessità di essere cucinato, contribuirono in maniera decisiva al successo dello stoccafisso nei secoli.
Nel Medioevo, il commercio del merluzzo ebbe una così grande importanza che il re di Norvegia per poterlo controllare completamente proibì alle navi della Lega Anseatica di salire a nord del parallelo di Tromsø. Dopo l’anno mille lo sviluppo dei trasporti delle merci via mare, fu enormemente favorito dalla possibilità di usare in cambusa lo stoccafisso che ben sostituiva la carne salata in barili, facilmente deteriorabile. All’epoca del rinascimento lo stoccafisso in Italia cominciava ad essere abbastanza conosciuto, se non diffuso, mentre il baccalà era ancora una rarità.
Si ricorda che durante il Concilio di Trento (1545-1563), tra i piatti poveri consumati dai numerosi prelati, c'era quello di stoccafisso. Oltre ai principi etici e religiosi di carattere generale, il nuovo corso stabiliva, infatti, che in materia di feste e banchetti, il mangiar di magro fosse esteso in molte altre ricorrenze, oltre il venerdì.
L’obbligo di questa osservanza significò, nel mondo cattolico, soprattutto una cucina a base di pesce. Iniziò così nel nostro Paese una progressiva importazione di pesce nordico: aringhe (affumicate), stoccafisso (merluzzo essiccato), baccalà (merluzzo sotto sale) e salmone (affumicato). Il merluzzo, come la storia insegna, fu il più richiesto dagli italiani negli ultimi cinque secoli.
La storia ci tramanda, inoltre, che anche il baccalà fu un piatto apprezzato da molti personaggi illustri e in occasioni memorabili. Si racconta che Carlo V (1530), mentre era in viaggio verso Bologna per essere incoronato imperatore da Papa Clemente VII, si era trovato a sostare a Sandrigo (nella splendida Villa Sesso Schiavo), quando venne a sapere che i condannati a morte chiedevano, come ultimo desiderio, una porzione di polenta e baccalà; per la gran curiosità, il futuro imperatore volle assaggiare questo piatto e rimase talmente soddisfatto da quel piatto di cucina locale da nominare “cavaliere” tutti i presenti al banchetto.
Da questo connubio, nacquero nel nostro Paese numerosi piatti di straordinaria saporosità e invitante golosità. Liguria e Veneto se ne contendono il primato, seguite dalla Sicilia, Campania e Calabria. Ancora oggi, passando nei carruggi di Genova, si può sentirne l'intenso e maschio profumo che esce prepotente, da affollate trattorie e ristoranti.
Sia il costo contenuto del prodotto che la sua facilità di conservazione, hanno contribuito, nel passato, al notevole consumo di stoccafisso e baccalà nelle classi meno abbienti.
Non a caso nei versi dell'antica poesia genovese "Pescio conca", si legge: “O loasso di povei e di mainae”, vale a dire - riferito a stoccafisso e baccalà - "Il branzino dei poveri e dei marinai". Il termine pesce conca deriva dall'uso di farlo ammollare nell'acqua. Da quelle necessità e osservanze religiose, che proibivano la carne in certi periodi dell'anno, nacquero succulenti piatti come lo “stoccafisso al verde”, “all'agliata”, lesso con le patate o con le fave “stocche e bacilli” (piatto di reminescenze romane), "accomodato" (d'origine araba), in “buridda”, alla “badalucchese”, fritto e in frittelle, alla marinara e, non ultimo, il brandacujun, conosciuto anche in Provenza.
L'Italia acquista oggi più dei 2/3 della produzione dello stoccafisso norvegese. Il mercato italiano si divide per motivi culturali e storici, in cinque principali regioni: Veneto, Liguria, Campania, Calabria e Sicilia. Nelle altre regioni italiane lo stoccafisso è meno conosciuto. Esiste tuttavia un'antica tradizione di consumo nella zona di Livorno e di Ancona.