Quello che D’Annunzio cita come «quel fiero Sciacchetrà che si pigia nelle cinque pampinose terre» è un vino passito la cui produzione è concentrata lungo la riviera ligure tra Levanto e La Spezia, scendendo a terrazzamenti verso il mare.
Il territorio di coltivazione di questo vino DOC si estende in un territorio di poco più di 4000 ettari di costa aspra e montuosa, nei cian (terrazzi di terreno sostenuti dai muretti a secco) delle Cinque Terre, sui quali da sempre si coltivano la vite e gli oliveti.
Le origini del nome dello Sciacchetrà risultano incerte. Alcuni affermano che deriva dal greco "shekar" termine che indicava le bevande fermentate, altri invece sostengono derivi dal dialetto "sciac e trai", che significa schiaccia e lascia lì.
La sua tecnica di appassimento è stata introdotta da esuli greci, verso l'ottavo secolo a.C., che giunsero a Riomaggiore, una località delle famose Cinque Terre. Senza badare a tutti questi riferimenti classici, gli abitanti dei cinque borghi lo chiamavano "refusà", ossia rinforzato per definirne la tecnica di appassimento.
La tradizione narra che alla nascita di un bambino si era soliti preparare un corredo di fiaschi di questo vino da regalargli in dono. Una cosa è certa, questo pregiato vino nel corso degli anni è divenuto l'emblema per eccellenza delle Cinque Terre.
Lo Sciacchetrà è uno dei prodotti liguri più tipici: il vino passito dolce che nasce tra le scogliere e le insenature delle Cinque Terre, luogo simbolo della regione e Patrimonio Unesco dell'Umanità.
Oltre a vantare una storia millenaria e ad essere apprezzato in tutto il mondo, nel 1973 ha ottenuto la Denominazione di Origine Controllata e negli ultimi anni è stato anche riconosciuto come presidio Slow Food. Insomma una vera tipicità da proteggere e conservare negli anni a venire.
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